Incontro con Guido Beltramini e Filippo Romano.
La mostra ci accoglie con uno specchio, dove si riflettono il busto di Palladio e quello di Thomas Jefferson.
È la prima domanda della mostra: come si riflettono forme e idee? Perché un architetto di una regione periferica del Nord Italia viene preso a modello per costruire l’architettura del Nuovo Mondo? La risposta è collegata all’interrogativo di fondo: cosa ci fa in un museo d’architettura Thomas Jefferson (1743-1826), colui che scrisse materialmente la Dichiarazione d’Indipendenza e fu il terzo presidente degli USA?
C’è perché fu l’americano che più di ogni altro contribuì a dare un volto alla nuova nazione attraverso l’arte, l’architettura e il disegno del territorio.
Fu un visionario ma anche un pragmatico, un uomo d’azione e insieme un intellettuale che conosceva il latino e il greco e che era convinto che il Nuovo Mondo si potesse costruire solo attraverso la razionalità e la bellezza.
Avete presente quelle vedute aeree delle campagne o delle città degli Stati Uniti tutte suddivise in quadrati regolari? È stato Jefferson a fare in modo che fosse così, impostando una griglia riferita ai meridiani e paralleli, ispirandosi agli antichi Romani. Ricordate la Casa Bianca, con il portico su colonne come una villa palladiana? Jefferson avrebbe voluto addirittura una copia ingrandita della Rotonda di Vicenza, e comunque la casa del Presidente dei nuovi Stati Uniti, nati da una guerra sanguinosa contro una monarchia, doveva ispirarsi all’architettura di una Repubblica come quella di Venezia.
La mostra “Thomas Jefferson e Palladio. Come costruire un mondo nuovo” è la prima mai dedicata in Europa al grande palladianista americano. Vi condurrà nel mondo di Jefferson, nelle sue collezioni d’arte, nei suoi progetti di architettura, i suoi sogni ma anche le sue contraddizioni: attraverso disegni, sculture, libri preziosi, modelli di architetture, video e multimedia.