Siamo la società più informata nella storia dell’umanità. Allora perché non ricordiamo quasi nulla di ciò che è accaduto nel mondo due anni fa? Possediamo un’enorme quantità di dati, ma allora perché sembra che non conosciamo quasi nulla?
La risposta richiede un percorso. E’ quello che intendono proporre gli autori del libro, il cui primo passo è di ridefinire ciò che va inteso come “informazione”.
Curioso doverlo fare. L’informazione nasce come un concetto perfettamente strutturato. Siamo nel 1948, chi lo definisce è Claude Shannon, chi lo discute sono alcune tra le migliori menti della ricerca scientifica anglosassone. Da queste riflessioni nascerà la rivoluzione informatica. Eppure, dopo un esordio brillante, la nozione di informazione si eclissa, perdendosi in una concezione quotidiana, abusata e frivola. Crediamo di avere informazioni nei nostri computer o nel nostro DNA. Crediamo di riceverne dalle nostre reti o dai nostri media. Ci sbagliamo. L’informazione non si immagazzina, non si trasmette, non viaggia.
Ma allora, cos’è? La sua definizione è abbastanza semplice. Secondo Shannon “l’informazione è la misura della libertà di scelta che si ha quando si sceglie un messaggio”. Detto diversamente, è riduzione di incertezza su un insieme di messaggi possibili.
Letta in questa prospettiva, l’informazione si presenta come nuova categoria di analisi dei problemi filosofici, epistemologici e comunicativi. Riflettere sull’informazione spinge a cambiare prospettiva sul mondo. Per questo, tra le discipline che mettono l’informazione al centro della propria riflessione, ci deve essere anche la filosofia. Ogni volta che cambia lo scenario del nostro pensare, seve un approccio globale, una revisione dei concetti fondamentali, una diversa invenzione della realtà. Serve quel tipo di sapere che indaga sul nostro stesso sapere.
Ma serve anche una complessiva revisione della nostra idea di società. Da qui l’urgenza di una revisione sociologica dei nostri processi comunicativi, delle nostre forme di decisione collettiva, della stessa costruzione del nostro immaginario sociale.